Una vita da gregario. I diari segreti di Alessandro Vanotti

Gregario di lusso per Ivan Basso e Vincenzo Nibali, Alessandro Vanotti continua a pedalare forte e ha tante storie da raccontare

“Ale, vinciamo il Giro. Stai facendo una cosa pazzesca. Continua così.”

E Ale ha continuato a menare. A tirare come un pazzo prima sulla Forcola di Livigno, e poi sul Passo di Eira e sul Foscagno. Perché, poco dopo la partenza da Bormio, erano iniziati gli attacchi e bisognava difendere la maglia rosa del capitano, Ivan Basso. Era la ventesima tappa del Giro 2010 e anche Carlos Sastre e Alexandre Vinokourov — nonostante i cinque minuti di ritardo da Basso— provarono a ribaltare il Giro.

Vanotti a tirare nella Bormio-Ponte di Legno 2010. Foto: Bettini

Ale era — ed è ancora — Alessandro Vanotti, professione gregario. Ma gregario di lusso. Di quelli con un motore a quattro cilindri turbo. Che se avesse avuto l’opportunità di essere capitano in un’altra squadra, avrebbe anche lottato per podi nei grandi giri (vedi Damiano Caruso). Ma la professione di gregario è quella che Vanotti ha sentito più sua e sulla quale ha ritagliato una carriera stratosferica. È stata magari una carriera dietro le quinte (con una vittoria alla Settimana Ciclistica Lombarda), ma il suo motore turbo ha aiutato i suoi capitani a vincere un totale di cinque grandi giri.

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E in quel delicato momento della Bormio-Ponte di Legno (Tonale), Vanotti era in trance agonistica. O meglio, aveva raggiunto quello che si chiama anche flow — uno stato psico-fisico di massima attenzione dove l’atleta vive uno stato di grazia divina. 

Un'altra immagine di Vanotti a tirare per Basso nella Bormio-Ponte di Legno prima del Gavia. Foto: Bettini

Vanotti stava spremendo le ultime energie dopo un Giro lungo e logorante, e stava dando il massimo per salvare una maglia rosa conquistata il giorno prima, nella Brescia-Aprica con passaggio sul Mortirolo. La rincorsa di Basso alla rosa era nata dieci giorni prima, dopo la famosa fuga della tappa che si concluse all’Aquila.

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Vinciamo il Giro!

“Sei una grande! Ti stai superando! Continua così! Vinciamo il Giro!”

Le voci gracchianti di Stefano Zanatta, DS della Liquigas, continuavano a incitare Vanotti dalla radiolina. La Bormio-Ponte di Legno era una tappa durissima, con cinque GPM (Forcola di Livigno, Eira, Foscagno, Gavia e arrivo in salita al Tonale) e un totale di 4,849 metri di dislivello. Quel mattino, Basso era partito in rosa con un vantaggio di 51 secondi sullo spagnolo David Arroyo.

Salutato dagli Alpini al Giro. Foto: Bettini

“Quella mattina ero un po’ stanco, come tutti del resto,” ricorda Vanotti. “Ma scendendo da Bormio ci hanno attaccato. Tanti gregari si erano staccati, mentre io sono rimasto davanti. Avendo lavorato molto con un mental coach già dal 2005 (Omar Beltran) [quel lavoro] mi ha aiutato a sopperire ai grandi sforzi dei Grandi Giri.”

Vanotti descrive la zone come una bolla, una sfera. In quei momenti, si sentiva come un tennista in uno stadio gremito, che non sente le urla del pubblico e che si concentra sul colpire la pallina. 

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“Sono tecniche mentali di respirazione e concentrazioni che mi aiutavano quando tiravo ed ero stanco. E in quella tappa sono riuscito a tirare fino al Gavia,” ricorda Vanotti.

In quella confusione di strade, velocità, respiro affannato e rapporti che cambiano di continuo, Vanotti ricorda di aver visto più volte la sagoma Bjarne Riis (al tempo manager della Saxo-Bank), scendere dall’ammiraglia per vedere chi stesse tirando in gruppo. Riis, infatti, non riusciva a capire come mai, con quei campioni là davanti (tra cui gli stessi Sastre e Vinokourov), non riuscissero a guadagnare tempo sugli inseguitori. Vanotti ha lavorato sin dal 2005 con un mental coach per essere più performante in gara. Foto: Bettini.

La risposta era semplice. Stava tirando Vanotti. E non un Vanotti qualunque. Ma Vannotti in trance agonistica.

“Quando ho iniziato a tirare da Tirano [al km 47 di corsa] c’erano 160 corridori alla mia ruota. Ai piedi del Gavia [al km 123] mi sono girato di nuovo e ce n’erano forse una trentina. In quella dimensione mentale non me ne ero neanche accorto,” ricorda

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Al termine di quella tappa Basso aveva consolidato la maglia rosa e la cronometro del giorno dopo all’Arena di Verona era stata una passerella per il campione ritrovato. Il lavoro di Vanotti non era stato vano.

Vanotti, primo da sinistra, al Giro 2010 vinto da Ivan Basso il giorno dopo la Stelvio-Tonale. Foto: Tim de Waele/Corbis via Getty Images

L’Olanda

In versione cronoman sulla Cannondale Slice. Foto: Bettini

Tutti ricordano il Giro del 2010 come il Giro della tappa dell’Aquila, e dello strepitoso recupero della Liquigas di Basso, Nibali e Vanottti.

Tuttavia, oltre a quella dell’Aquila, ci fu un altro episodio che rischiò di compromettere il Giro di Basso. 

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Era la terza tappa, da Amsterdam a Middelburg: 224 chilometri e zero metri di dislivello. Ma dove il vento ha iniziato a soffiare forte.

“Su un ventaglio a circa 30-40 chilometri dall’arrivo, ho guardato Vincenzo. Vincenzo ha capito, l’ho affiancato, siamo andati davanti, e abbiamo preso il ventaglio di petto. Ma con la coda dell’occhio non ho visto Ivan,” ricorda Vanotti.

In carriera Vanotti vinse nove cronometro a squadre (TTT). Foto: Bettini

Basso, infatti, non era riuscito a seguire il movimento dei suoi gregari ed era rimasto attardato. Vanotti decise, dunque, che avrebbe portato Nibali davanti e poi sarebbe tornato indietro per Basso. Non appena quest'ultimo lo raggiunse, Vanotti riprese a tirare come un forsennato e riportò il capitano nel gruppo di testa.

“È stato uno sforzo immane,” ricorda ridendo. “Mentalmente mi sono concentrato e sono riuscito a riaccodarmi all'ultimo corridore, ma avremmo potevamo restare fuori tutti e due e avremmo preso 20 minuti come niente.”

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A fine giornata, Basso e Nibali arrivarono con il gruppo dei primi — mentre Vanotti perse 31 secondi. E Cadel Evans, che quel mattino era in maglia rosa, perse 46 secondi e cedette la leadership provvisoria a Vinokourov.

Con Nibali alla Liquigas 

Vanotti e Nibali alla Liquigas, prima del passaggio all'Astana del 2013. Foto: Bettini.

Dopo essere stato gregario di Basso al Giro 2010 (e con cui è poi rimasto fino al 2012), Vanotti — che iniziò la sua carriera professionistica nel 2003 con la De Nardi-Colpack — è stato anche uno dei gregari più importanti per Nibali. Dal 2013 al 2016, infatti i due hanno vinto il Giro nel 2013, il Tour nel 2014 (oltre al terzo e secondo posto al Giro nel 2010 e 2011, il terzo posto al Tour 2012, e il secondo alla Vuelta 2013). 

“Vincenzo Nibali è stato il mio grande capitano. Mi ricordo, che nel 2005 — quando ero alla Domina Vancanze, al giro di Toscana — Nibali lo conoscevo solo di nome. Era il giovane promettente del ciclismo italiano,” racconta Vanotti.

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Sul palco del foglio firma del Giro di Toscana, Vanotti — che aveva già corso un Giro d’Italia e stava per partecipare al secondo — e l’emergente Nibali si incontrarono per la prima volta.

“Lui mi ha guardato, io l'ho guardato, io l'ho salutato – e lui non mi ha salutato. E ci sono rimasto un po' male,” ricorda Vanotti. 

Una delle prime maglie rosa indossate da Nibali al Giro con Vanotti. Foto: Bettini.

Due anni dopo, quando Vanotti passò al Team Liquigas (dove Nibali era arrivato nel 2006), il suo compito era proprio quello di affiancare Nibali.

“Ero già il suo compagno di camera. E dopo quell’episodio [al Giro di Toscana] c’è stato un attimo di tensione, ma quando è entrato ci siamo messi a ridere,” ricorda Vanotti.

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Vanotti gli chiese dell’episodio firma, confessando a Nibali che pensava di stargli antipatico. Nibali, in risposta, scoppiò a ridere e gli disse che era stato solo un momento di nervosismo pre-gara. Anche a seguito di quella risposta, Vanotti capì che una lunga e importante avventura stava per iniziare. 

“Era come se Nibali fosse già stato il mio capitano per dieci anni,” ricorda.Vanotti a protezione di Nibali, un'immagine che si sarebbe vista spesso negli anni 2007-2016. Foto: Bettini

Dopo il ricongiungimento alla Liquigas, Vanotti è diventato — gradualmente — il mentore di Nibali e la spalla destra dei DS. Era la sua ombra. Doveva cercare di stimolarlo in alcuni momenti e dargli supporto psicologico in altri. 

“Era stata un’idea di Stefano Zanatta, che oggi è ancora assieme a Basso nella Eolo-Kometa,” spiega Vanotti. “Lui era una persona che capiva le situazioni, e non c’erano soltanto le tabelle e gli allenamenti. Credeva nell’importanza di affiancare un ragazzo giovane a un corridore più esperto.”

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Il passaggio all’Astana

Al Giro di Lombardia 2015, poi vinto da Nibali. Foto: Bettini.

La stessa mentalità e metodologia di lavoro, Vanotti e Nibali l’hanno poi portata all’Astana, dove hanno iniziato a correre dal 2013 al 2016. 

“C’era una pressione incredibile,” ricorda Vanotti. “E abbiamo fatto fatica ad ingranare. I cambiamenti erano stati tanti: le scarpe, la bici, nuovi staff, nuovi meccanismi. Non è stato banale.”

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Il team arrivò alla Tirreno-Adriatico non ancora perfettamente rodato — ma doveva subito vedersela con corridori del calibro di Chris Froome e Alberto Contador. Nella sesta tappa (Sant’Elpidio-Sant’Elpidio di 209 chilometri e 3,832 metri di dislivello), c’era molto freddo, ma la giornata era limpida. Nibali, nella generale, era terzo — staccato di 20 secondi da Froome e a pari merito con Contador.

La tappa partì forte, con Vanotti in fuga e attacchi di Evans e Cancellara, e solo un salto di catena costrinse Vanotti a lasciare la fuga e tornare nel gruppo Nibali. “Però, mentre rientravo in gruppo,” continua Vanotti, “ho capito che quel giorno avevo una gamba pazzesca.” 

Nella Elpidio-Elpidio della Tirreno 2013. Qui in fuga con Arashiro, prima della foratura. Foto: Getty Images.

Di punto in bianco, il meteo cambiò. Iniziò a piovere, e il freddo diventò ancora più pungente. E con continui strappi al 20%, la tappa diventò durissima.

Vanotti e Nibali erano ancora nel gruppo dei migliori, con il Team Sky a tirare là davanti. Per rimanere in quella posizione, Vanotti doveva tornare in trance, in flow.

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“Ho tenuto Vincenzo nelle prime cinque posizioni di fianco a Froome per tutto il giorno. E ho preso vento tutto il giorno,” racconta. “Era una guerra di sopravvivenza. Tant’è che per il freddo alle mani non riuscimmo ad alimentarci.”

Vanotti fu costretto a fare quello che fanno i gregari: andare all’ammiraglia, prendere il rifornimento, tornare da Nibali, dargli cibo, sali e maltodestrine e tenerlo davanti. Ma ai meno 30 dall’arrivo, lo sforzo estremo aveva iniziato a dargli un inizio di crampi e informò il suo capitano della situazione.  

Con Nibali al Tour 2014, poi vinto dal corridore siciliano. Foto: Bettini.

“O porco Giuda, Ale, ma scherzi! Non lasciarmi da solo, non c’è più nessuno qui davanti!” fu la risposta di Nibali.

Ancora una volta, con la tecnica della respirazione e della concentrazione, Vanotti riuscì a tenere a bada i crampi e scortò Nibali fino ai piedi dell’ultima salita — di 5 chilometri — dove poi si staccò e lasciò andare Nibali assieme a Peter Sagan.

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Sagan, ex compagno di squadra di Nibali e Vanotti ai tempi della Liquigas, vinse la tappa, mentre Nibali balzò in testa alla generale davanti a Froome (di 34 secondi), Joaquin Rodriguez (37) e Contador (48). Il giorno dopo, a termine della cronometro e grazie al lavoro di Vanotti il giorno prima, Nibali vinse la Tirreno.

“Quando alla radio ho sentito che aveva vinto, ho pianto, non lo nascondo, è stata un’emozione pazzesca,” ricorda Vanotti. Dopo quel numero, l’Astana di Vinokourov estese il contratto di Vanotti fino alla fine del 2016 (anziché del 2014).

Vanotti oggi

La vittoria del Tour 2014 sugli Champs Élysés, con Michele Scarponi altro gregario di lusso di Nibali. Foto: Bettini.

Vanotti si è ritirato dalle corse professionistiche a termine del 2016, quando Nibali e altri gregari passarono alla Bahrain-Merida. Vanotti oggi vive nella sua Bergamo, e un po’ come nella prima parte della sua carriera — seppur con altri progetti — continua a lavorare nel ciclismo a 360°.

Brand ambassador e sviluppatore di prodotti e tessuti per aziende come Santini, Trek, Limar e MagneticDays, Vanotti organizza anche settimane di allenamento per il Vanotti Cycle Camp. I camp sono organizzati per gruppi e tour operator, e hanno sia una componente ciclo-turistica, ma anche una parte più specifica legata alla preparazione fisica, all’impostazione in bicicletta, all’alimentazione e alla gestione dell’allenamento in senso lato. Sono delle vere e proprie masterclass con Alessandro Vanotti.

Scopri di più sui camp con Vanotti.

Oltre ai camp, Vanotti è anche impegnato in progetti di team-building e incentive per le aziende, come guida ciclo-turistica locale, ma anche per eventi ad-hoc legati ai brand con cui lavora. E poi c’è l’impegno sui temi più importanti quali la sicurezza stradale, lo sviluppo di una mobilità sostenibile e l’avvicinamento dei più giovani al mondo della bicicletta.

Se Alessandro Vanotti, da professionista, era un gregario di lusso — oggi, nella sua seconda carriera ciclistica, è un gentleman delle ciclismo mondiale.

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