THE COLUMN: FINALMENTE, LE GARE CHE SOGNAVAMO

Con l'ultimo terzo del Giro d’Italia ancora da disputare e la Vuelta a España che sta per cominciare, non è del tutto esatto definire il Giro delle Fiandre corso ieri, la gara di fine stagione. Tuttavia, mentre Mathieu van der Poel, Julian Alaphilippe e Wout van Aert erano in fuga davanti a tutti e stavano affrontando gli ultimi chilometri di gara, senz’altro qualcuno in gruppo, più d’un direttore sportivo sulle ammiraglie e anche qualcuno tra noi spettatori semi-sdraiati sul divano, deve averci pensato.

 

Il tre atleti in testa alla gara erano sicuramente i corridori che sono stati tra i protagonisti di questa stagione 2020 quantomeno bizzarra. Del terzetto Mathieu Van der Poel, forse, era l’atleta rimasto con i risultati e con le vittorie un po’ al di sotto delle aspettative. Dopo un promettente avvio nelle classiche, la maglia di campione nazionale olandese conquistata e una tappa alla Tirreno-Adriatico non aveva poi partecipato al Tour de France e nemmeno al Mondiale di Imola. Alle classiche del nord però, aveva fatto vedere qualche lampo di condizione, regalandoci una vaga idea di quello che avrebbe potuto succedere nel gran finale al Giro delle Fiandre. Era come se tutta la preparazione e il lavoro svolto da MVDP durante l'anno stesse lievitando in previsione di questo penultimo fine settimana di ottobre, forse il suo più importante dell’anno.

 

Il ciclismo moderno è spesso accusato di mancare di una narrazione coerente nell’arco di una intera stagione. Per quanto avvincente possano essere le corse - e spessissimo quest’anno lo sono state - questo continuo cambiare e alternarsi dei protagonisti e questo sparire e ricomparire dei favoriti in differenti momenti dell’anno e in diversi tipi di corse, è difficile da digerire. Il ciclismo di un tempo era più semplice da seguire, le squadre e i corridori erano sempre gli stessi. La nostra esperienza da spettatori dello sport del ciclismo in televisione è diventata oggi qualcosa di molto elaborato e complesso.

 

Nonostante tutte le cose che si dicono sulla gente che non è più in grado di mantenere l’attenzione su determinati argomenti e per lunghi periodi, è vero che quasi tutti noi dimostriamo grande gradimento per le serie, con personaggi, contesti e ambientazioni che si ripetono molto a lungo ma coerentemente. Il successo di Netflix e delle sue serie d’altra parte è qualcosa che ha a che vedere proprio con questo tipo di preferenza.

Oltre a questo, il ciclismo continua ad apparire a noi che lo amiamo come uno sport decisamente più autentico e sorprendente rispetto ad altri sport multimilionari come il calcio, la Formula 1 e tutti quegli sport in cui milioni di dollari vengono distribuiti agli atleti o alle squadre ad ogni vittoria.

 

Sarebbe certamente meglio (soprattutto per i corridori) se anche ciclismo potesse godere di più risorse economiche, magari le stesse di questi sport che per certi aspetti ci piacciono meno, ma non è quello il punto del discorso, adesso. La colpa per questo stato delle cose non è di nessuno, il ciclismo è questa roba qui.

 

Il 2020 - almeno quello - ci ha regalato una narrazione solida ed entusiasmante, atleti che sono stati in grado di essere performanti e consistenti per un periodo di tempo sufficientemente lungo per tenerne memoria. I nostri beniamini, i campioni, sono stati sempre lì, davanti ai nostri occhi dentro al televisore e sulle strade. Da fine luglio ad adesso, in fondo, non sono passati nemmeno tre mesi. Tutti noi avremmo volentieri fatto a meno del problema COVID e di una stagione rivoluzionata e rimaneggiata come quella che abbiamo avuto, ma in fin dei conti le stagioni normali sono diventate davvero frammentate, diluite, lunghe, altalenanti, difficili a volte da comprendere nella loro logica. Sono diventate talmente lunghe e incoerenti nel loro insieme, che quasi sempre gli atleti devono decidere di dedicarsi a correrne soltanto una parte. L’emergenza COVID ha costretto l'UCI a improvvisare e a comprimere il calendario; a dare la priorità ad alcune corse e a posizionarne altre in sovrapposizione o dove semplicemente si potevano mettere, se si volevano fare. Che ci crediate o no, la Strade Bianche vinta dalla Wout van Aert si è svolta soltanti 78 giorni fa, grossomodo il tempo che nella norma separa il Tour Down Under in Australia a gennaio con la Milano-Sanremo a marzo. Dal punto di vista temporale, un niente.

Ovviamente non avremmo avuto questo andamento entusiasmante della stagione se non fosse avvenuta anche contemporaneamente l'esplosione di una serie di atleti giovanissimi sorprendentemente talentuosi, spregiudicati e forti, in grado di correre sempre all’attacco e accendere la nostra fantasia ad ogni corsa.

 

Che Mathieu van der Poel sia stato il corridore sul gradino più alto del podio del Giro delle Fiandre non significa che dobbiamo considerare lui come il dominatore assoluto della stagione. Anzi. Però senz'altro lui, Alaphilippe e Wout van Aert hanno tutti realizzato una stagione memorabile, quest'anno. Se tanto ci da tanto, in prospettiva, la prossima stagione sarà ancora più esaltante e rivoluzionaria di quella che abbiamo vissuto quest’anno. La Vuelta inizia domani, c’è ancora da divertirsi. Poi aspetteremo trepidanto l’inizio del 2021, forse una delle più avvincenti stagioni di corse a cui ci potrebbe capitare di assistere.

COVID permettendo, ovviamente.

 

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