GRAVEL: DA QUI, INDIETRO NON SI TORNA

Le chiamiamo 'gravel' perché in tutto il mondo le chiamano così. Sembra che oggi una bicicletta che un tempo ci accontentavamo di definire da strada debba andare proprio dappertutto, per certi perfino su sentieri e single-track che un tempo percorrevamo con mountain-bikes che chiamavamo rigide.

I francesi, che le parole straniere le usano malvolentieri, le strade sterrate ai confini della Bretagna dove ogni aprile dal 1984 si corre la Tro-Bro Léon, le chiamano "ribinoù". In Italia le chiamiamo in tanti modi diversi: in Toscana dove si corre la Strade Bianche si chiamano 'strade bianche', in altre regioni come Trentino, Veneto, Piemonte si chiamano 'strade forestali', o 'mulattiere' nella loro versione più ripida e ruspante. Un po' dappertutto qui in Italia, per capirsi, basta chiamarle "strade sterrate".

In ogni caso, indipendentemente dal fatto che si tratti delle colline della Toscana, delle praterie del Nebraska o delle montagne del Colorado, degli Altai in Kirghizistan o dell'outback australiano, ciò di cui stiamo parlando sono bici per pedalare veloci anche su strade non asfaltate.

Più che un tipo di bicicletta la parola 'gravel" definisce un modo di pedalare e più in generale di pensare al ciclismo usando delle biciclette da strada. Non è soltanto questione di larghezza dei pneumatici, è questione di approccio, di maniera di pensare al ciclismo. Quel che è certo è che da qui, dalle biciclette di oggi a proprio agio un po' su tutti i terreni e non soltanto sull'asfalto, indietro non si torna.
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