Come fanno i migliori ciclisti al mondo a correre forte da gennaio a ottobre?

La resistenza nel ciclismo è una delle differenze principali tra quelli bravi e i fuoriclasse. Rouleur indaga ed entra nel mondo dell'allenamento mirato, dei kilojoule e di Dan Martin...

Nel momento in cui ho scritto questo articolo, eravamo nel pieno della Vuelta a España, gara in cui i migliori al mondo continuavano a raggiungere livelli incredibili, resi ancora più impressionanti se pensiamo che la stagione è iniziata otto mesi fa, per alcuni anche da più tempo, avendo fatto parte del Tour Down Under a metà gennaio; in effetti, se si considera che personaggi del calibro di Tom Pidock, Wout van Aert e Mathieu van der Poel a febbraio avevano praticamente finito la stagione di ciclocross, e dopo poco hanno iniziato la loro stagione su strada, possiamo affermare che per alcuni corridori del gruppo si tratta di percorrere chilometri impegnativi quasi per tutto l'anno. Si tratta di un'incredibile dimostrazione di resistenza, che in questo momento è un tema molto sentito negli ambienti della scienza dello sport. Ma cos'è esattamente la resistenza e come ci si allena per svilupparla? Belle domande...

Under 23 vs WorldTour

James Spragg è l'allenatore della Tudor Pro Cycling, la squadra svizzera di Fabian Cancellara. L'allenatore è anche un esperto di resistenza nel ciclismo, in quanto è stato l'oggetto del suo dottorato di ricerca, presso l'Università di Città del Capo in Sudafrica.

Sostieni il giornalismo internazionale di qualità - Abbonati a Rouleur Italia


Nel 2020, Spragg è stato coautore di un articolo pubblicato sull'International Journal of Sports Physiology and Performance che analizzava la resistenza di un ciclista, non nell'arco di una stagione bensí in una gara a più tappe. "Abbiamo monitorato gli under 23 e i professionisti al Tour of Alps per vedere quali differenze ci fossero tra i due gruppi nei cinque giorni di gara", spiega Spragg. "Abbiamo scoperto che, in termini di potenza, i due gruppi erano praticamente identici quando erano freschi. Ma la vera differenza si vedeva nel momento in cui subentrava la fatica, lí i numeri cambiavano".

Più precisamente, in questo studio l'affaticamento dei corridori under 23 si è fatto sentire tra i 1.000 e i 3.000 kJ di lavoro svolto. Ciò ha portato Spragg e il team ad arrivare alla seguente conclusione: "Nel loro percorso verso il livello professionale, ai ciclisti under 23 si raccomanda non solo di ottimizzare il rapporto potenza/massa corporea, ma anche di migliorare progressivamente la loro potenza negli sforzi di breve e lunga durata e successivamente di valutare i progressi nella resistenza alla fatica".

Van Aert Van der Poel

I corridori multidisciplinari come Wout van Aert e Mathieu van der Poel si cimentano in gare quasi tutto l'anno (Simon Wilkinson/SWPix)

È interessante notare anche la resistenza alla fatica dimostrata dai corridori da classifica generale. "I gregari professionisti tendevano a mostrare un calo nel loro profilo di potenza dopo 2.500-3.000 kJ. Non è chiaro se ciò fosse dovuto a un'incapacità fisiologica di sostenere una determinata potenza o al fatto che il loro "lavoro" all'interno della squadra fosse stato completato per quel particolare giorno/tappa. È interessante notare, tuttavia, che i corridori da classifica generale non hanno mostrato alcun calo nel profilo di potenza anche dopo i 3000kJ, il che suggerisce che la loro resistenza alla fatica e gli elevati valori di potenza relativa sono alla base del loro ruolo".

Nel complesso, i corridori più forti hanno mostrato uno stoicismo fisico che ha lasciato i loro contemporanei meno forti a inseguire le loro ombre durante la corsa. Ma come? Qual'è la formula magica di allenamento che ha permesso ai corridori più resistenti di prevalere sui rivali più affaticati? "Si raccomandano ulteriori ricerche per comprendere meglio il modo ottimale in cui si possono ottenere questi miglioramenti", conclude la rivista.

Sconfiggere la stanchezza

La ricerca di Spragg, pubblicata sull'European Journal of Sport Science nel 2022, ha valutato la resistenza nel corso della stagione. Ci torneremo a breve. Per ora, è importante ricordare che cos'è la fatica. Torniamo a Spragg. "Dipende dall'intensità dell'esercizio. Di solito si quantifica la fatica, soprattutto nel ciclismo, in termini di lavoro svolto, quindi di chilojoule, unità di misura adottata dal Sistema Internazionale per il lavoro, tra l'energia e il calore. A volte lo normalizziamo alla massa corporea o ai chilojoule per chilo, solo perché un ciclista più pesante che va in salita alla stessa velocità genererà una potenza maggiore e quindi brucerà più chilojoule al minuto.

Il problema del ciclismo professionistico, in termini di resistenza, è che le gare si svolgono su diversi livelli di intensità. Si va dalle cose molto facili fino agli sforzi massimali in volata, e tutti si intrecciano nel corso di una gara, a seconda delle dinamiche di quel giorno.

"Gli elementi che causano il rallentamento sono diversi quando si va molto piano rispetto a quando si va molto forte", aggiunge Spragg. "Si può pensare a meccanismi centrali e a meccanismi periferici. Ma in realtà c'è un'ampia interazione tra i due".

Per centrale si intende la capacità del cervello di inviare segnali ai muscoli affinché si contraggano e la capacità di questi segnali di raggiungere e attivare i muscoli. Periferica è la quantità di forza che la fibra muscolare produce quando le viene chiesto di contrarsi e la capacità di mantenere quel livello di contrazione.

La situazione si complica quando si verifica un forte affaticamento periferico, per cui si accumulano nel muscolo sostanze che inibiscono il modo in cui il muscolo si contrae, rendendolo meno efficiente e producendo meno forza. Queste sostanze vengono percepite dai recettori presenti nei muscoli e inviate come segnale al cervello per indurre un livello di affaticamento centrale. È qui che si verificano alcuni incroci che complicano un po' le cose. Poi c'è l'aspetto mentale della fatica, come la motivazione a svolgere un compito. Ma questo apre un'altra serie di problemi duraturi. Per ora ci concentreremo sull'aspetto fisiologico e sulla ricerca di Spragg sulla durata nel corso della stagione.

"Una cosa che abbiamo notato è che dopo 2000kJ di lavoro, abbiamo riscontrato una maggiore variazione della fatica nel corso della stagione", afferma Spragg. "Questo corrisponde a quando i corridori dicono che la loro forma sta cambiando: migliora o peggiora".

Spragg ha poi esaminato il loro carico di corsa - sia in allenamento che in gara - per vedere se c'erano tendenze tra i corridori che mantenevano la forma fino alla fine della stagione e quelli che iniziavano a soffrire; in altre parole, quelli che possedevano una maggiore resistenza. "I corridori che hanno mantenuto la resistenza lo hanno fatto in due modi. Hanno aumentato o mantenuto il volume, oppure hanno intrapreso un allenamento di tipo sweetspot. Quindi hanno ridotto un po' il volume, ma hanno aumentato l'intensità media".

"Tuttavia, gli unici corridori che hanno effettivamente aumentato la loro durata sono stati gli atleti che hanno aumentato il volume", continua. "E aumentando il volume, hanno dovuto abbandonare la zona centrale. Hanno dovuto mantenere una certa intensità, ma hanno finito per seguire un piano più polarizzato, guidato da un maggiore volume, piuttosto che dall'intensità".

Due diversi racconti dal gruppo

Ci sono due aree chiave da analizzare: il numero di gare disputate e l'aspetto dell'allenamento mirato. È qui che entra in gioco Dan Martin. Il palmarès dell'ex pro è impressionante e comprende la vittoria di due tappe del Tour de France, una a testa al Giro d'Italia e alla Vuelta a España, oltre a due dei cinque Monumenti, la Liegi-Bastogne-Liegi e il Lombardia. Un'ampiezza di successi che inizia a Liegi in aprile e termina a ottobre con Il Lombardia. Sì, forse non si tratta di una sola stagione, ma evidenzia un successo costante per quasi tutto l'anno e, a suo dire, è dovuto all'accumulo di chilometri di gara.

"Ogni anno che ho partecipato alla Vuelta, sono salito sul podio de Il Lombardia", dice. "In pratica, la Vuelta sostituisce un altro enorme blocco di allenamento. Se non si partecipa alla Vuelta o al Tour of Britain, si fa fatica ad arrivare a ottobre, perché è così difficile motivarsi ad allenarsi in quel periodo dell'anno".

Mentre Martin vedeva l'imperativo psicologico di continuare a correre, la ricerca di Spragg lo vedeva come un imperativo fisiologico, alla ricerca di un elevato carico di corsa (anche se la memoria di Martin lo tradisce. Quando ha completato la doppietta Vuelta-Il Lombardia, i suoi risultati sono stati: 2009 - 53° alla Vuelta e ottavo al Lombardia; 2011 - 12° alla Vuelta e secondo al Lombardia; 2013 - DNS ottava tappa alla Vuelta e quarto al Lombardia; 2014 - ottavo alla Vuelta e primo al Lombardia; 2015 - DNS ottava tappa alla Vuelta e 52° al Lombardia; e 2018 - DNS decima tappa alla Vuelta e nono al Lombardia. Un record pur sempre impressionante).

Probabilmente, questa tenuta, o addirittura aumento, del carico di pedalate nelle gambe per ottenere una maggiore durata nel corso della stagione è più importante in termini di allenamento che non in termini di gare nel gruppo moderno. Al momento della redazione di questo articolo (la fine dell'11a tappa della Vuelta) e con pochi giorni di gara rimanenti, Remco Evenepoel ha corso 55 giorni (8.397 km) e Jonas Vingegaard 57 giorni (8.766 km). Anche i veterani come Luke Durbridge hanno accumulato "solo" 63 giorni (9397 km). Questo dato è in contrasto con i tempi passati. Tra il 2011 e il 2013, Martin corse rispettivamente per 12.557 km (81 giorni), 11.671 km (71 giorni) e 12.273 km (78 giorni).Dan Martin

Dan Martin è stato bravo a continuare a gareggiare fino a ottobre (Cor Vos/SWPix)

"Al giorno d'oggi, i migliori corridori dedicano molto più tempo ai training camp e alla preparazione che non alle gare vere e proprie", osserva Martin. "Questa concentrazione porta a prestazioni sensazionali. D'altro canto, mi preoccupa la longevità delle loro carriere. Tutta la pressione di essere monitorati, di essere lontani per così tanti giorni, potrebbe limitare la carriera di un corridore. Tuttavia, non si può negare che l'evoluzione della scienza dello sport stia portando a risultati sorprendenti nel corso di una lunga stagione".

I vantaggi dell'allenamento mirato

L'approfondimento delle pressioni fisiologiche e psicologiche della corsa è un'altra cosa. Per ora e per concentrarci sulla resistenza, analizziamo il fattore dell'allenamento mirato identificato da Spragg. L'allenamento mirato, o allenamento 80/20 come viene spesso chiamato, è la formalizzazione di una ricerca condotta da uno dei più importanti fisiologi dell'esercizio del mondo, il dottor Stephen Seiler dell'Università di Agder, in Norvegia.

La ricerca di Seiler ha rivelato che gli atleti d'élite si allenavano per circa l'80% del tempo a "bassa intensità" e per il 20% a intensità elevata. Ma quando diciamo "bassa", intendiamo piuttosto facile; quando diciamo "dura", intendiamo molto dura. L'epifania di Seiler sulla resistenza è avvenuta circa 10 anni fa con il suo articolo "Intervalli, soglie e distanze lente: The Role of Intensity and Endurance Training". Seiler ha analizzato un'enorme quantità di studi precedenti sull'intensità e la durata dell'allenamento, concludendo che 80/20 è la ripartizione ottimale per ottenere prestazioni di resistenza di alto livello.

Il motivo non è ancora del tutto chiaro, ma è dimostrato che la corsa a bassa intensità è il vero e proprio "scacciafatica". Alcuni studi hanno dimostrato che durante la corsa prolungata a bassa intensità, i muscoli rilasciano grandi quantità di un composto di segnalazione cellulare chiamato interleuchina-6 (IL-6), che contribuisce alla fatica. I corridori ben allenati ne producono meno e questo è uno dei motivi per cui sono più resistenti alla fatica.

La teoria vuole che l'esposizione a grandi quantità di IL-6 durante l'esercizio di resistenza sia l'innesco principale degli adattamenti fisiologici che riducono l'IL-6 durante gli sforzi futuri e aumentano la resistenza, con l'innesco principale identificato nella riduzione di glicogeno. Le corse lunghe e lente causano livelli molto più elevati di impoverimento di glicogeno - e quindi di rilascio di IL-6 - rispetto alle corse brevi e veloci. Una corsa intensa di un'ora può aumentare i livelli di IL-6 di due volte. Una corsa di tre ore li decuplica.

In definitiva, l'organismo è in grado di sopportare anche livelli elevati di allenamento ridotto, adattandosi lentamente lungo il percorso, mentre troppe sessioni ad alta intensità sono così stressanti da sopprimere il sistema parasimpatico e provocare un affaticamento cronico.

Caratteristiche di allenamento

Naturalmente, è un po' riduttivo dividere le varie intensità in una sessione dura e una facile. È diventato comune per i ciclisti d'élite intraprendere un mix di intensità in una corsa per replicare più accuratamente quella di una gara. È una questione di precisione per ottenere prestazioni ottimali. Per questo motivo Spragg utilizza i kilojoule come parametro chiave del carico di lavoro sia nei suoi studi che nei suoi allenamenti, soprattutto quando si tratta di misurare la fatica e la durata. "Non è una novità, però", dice Spragg. "Allenatori e corridori lo usano già da qualche anno".

Sì, è così. Torniamo a Martin. "All'inizio della mia carriera, separavo le lunghe corse di resistenza dalle sessioni più brevi e dure. Ma ho capito subito che è necessario allenarsi a fare sforzi intensi alla fine di una corsa di cinque ore per soddisfare le esigenze della gara. Per questo motivo, fin da subito ho replicato in allenamento il conteggio dei chilojoule di una gara.

"Quando ho vinto la Liegi, in allenamento andavo forte per quattro ore e poi facevo due ore di moto-pacing e sprint alla fine. Iniziavo addirittura come se stessi pedalando nella zona neutra. Ricordo che quando ho vinto la Liegi [nel 2013], è stata la prima volta che mi sono concentrato sul conteggio dei chilojoule e sulla capacità di fare quei due sforzi esplosivi di tre minuti alla fine di una corsa di 5000kj. Questo mi ha reso più resistente in gara e attento nel corso della stagione".Alberto Bettiol

L'alimentazione è un elemento fondamentale per rimanere in forma (Pauline Ballet/SWPix)

Anche l'alimentazione svolge un ruolo fondamentale: è dimostrato che il tasso di ossidazione dei carboidrati aumenta con l'avanzare della stagione, mentre quello dei grassi diminuisce. Secondo lo scienziato dello sport Jens Voet, questo è un forte argomento per concentrarsi sull'assunzione di carboidrati durante la stagione, soprattutto durante le corse. Voet ha anche studiato la resistenza nel ciclismo e afferma che aumentare la quantità di carboidrati che si possono consumare durante le corse potrebbe aiutare a prolungare le prestazioni di punta, non solo il giorno stesso ma per tutta la stagione.

Martin è d'accordo. "Quando ho iniziato, consumavamo circa 60 g di carboidrati all'ora durante l'allenamento. Ora se ne consumano 100-120 g. In questo senso, la permanenza in campo per un periodo così lungo è un vantaggio. In gara, c'è un'auto della squadra che vi segue e che vi dà da mangiare in continuazione. A casa, invece, uscire per un giro di cinque ore con 600 g di carboidrati è poco pratico, quindi non sempre si raggiungono le quantità ottimali".

Quindi, a che punto siamo? L'allenamento mirato sembra in grado di aumentare la resistenza. Così come la tenuta, se non l'aumento, del volume di potenza durante l'anno. L'uso dei chilojoule come parametro di allenamento è un utile indicatore della resistenza o meno di un ciclista, mentre l'aumento dell'apporto di carboidrati con il passare dei mesi di gara potrebbe evitare la fatica. Ma solo un po'. In breve, dall'Australia alla Lombardia, è una stagione infernale, lunga e brutale, in cui solo i più duri hanno la meglio.

Foto di copertina di Zac Williams/SWPix

Shop now