L'opinione: La squalifica di Groenewegen è crudele, inusuale e stabilisce un pericoloso precedente

Nove mesi di squalifica per Dylan Groenewegen da parte dell’UCI sono un’inutile esagerazione e un precedente di cui fin troppo presto ci si potrebbe ritrovare pentiti.

L'UCI ha commesso un errore? Se Twitter fosse per caso qualcosa su cui basare le proprie opinioni, dovremmo dire che ha sbagliato in pieno. Le parole “pena equa” non sono il modo esatto di sintetizzare la vicenda di cui stiamo per parlare.

Di pesante squalifica si era parlato sin dall’inizio e quando l'UCI, qualche tempo fa ha annunciato la squalifica di nove mesi a Dylan Groenewegen a causa dell'incidente avvenuto allo sprint finale della prima tappa del Giro di Polonia di quest'anno, nessuno era rimasto sorpreso.

Secondo la maggior parte degli addetti ai lavori però la squalifica è del tutto sproporzionata rispetto all’infrazione, ritenuta più un castigo per le gravi conseguenze provocate dall’incidente, che una sanzione riferita alla azione sportiva che Groenewegen ha effettivamente compiuto. Ovviamente qui, nel campo delle opinioni personali e dei punti di vista, tutto diventa soggettivo.

Leggi anche – Rouleur Italia: Stampato In Italia, Spedito Dall'italia

Senza che ci sia dato sapere niente di più sui dettagli dell’indagine condotta dall'UCI, riassunta interamente in comunicato stampa di 147 parole rilasciato insieme alla notizia della squalifica, non resta altro da fare che tentare di formulare autonomamente delle ipotesi su quali siano stati i criteri con cui la decisione di bandire Groenewegen per un periodo di tempo così lungo, per una infrazione così comune, sia stata presa.

Noi non vogliamo minimizzare il gesto o le conseguenze di quell'orribile incidente, ma piuttosto cercare di valutarlo oggettivamente e imparzialmente, come è sperabile che abbia fatto anche l'UCI nel corso della propria indagine. I tempi e la successione delle dichiarazioni però, suggeriscono l’idea che l'organo di governo del ciclismo mondiale sia giunto a prendere la decisione della squalifica addirittura prima che l’indagine potesse essere conclusa, o addirittura iniziata. Una dichiarazione rilasciata la sera dopo l'incidente da parte dell’UCI recitava così:

“L'Unione Ciclistica Internazionale condanna fermamente il comportamento pericoloso di Dylan Groenewegen (Jumbo-Visma), che ha spinto Fabio Jakobsen (Deceuninck-Quick-Step) tra le transenne a pochi metri dal traguardo, provocando una caduta al termine della prima tappa del Tour de Pologne".

Non si fa cenno ad altri fattori oltre alla responsabilità dell’atleta, che possono aver eventualmente contribuito alle gravi conseguenze della caduta, quali ad esempio le caratteristiche tecniche delle barriere o il fatto che l'arrivo fosse in discesa e i corridori arrivassero lanciati ad altissima velocità sul traguardo.

Non è un bello spettacolo riguardare al rallentatore più e più volte l’incidente. Se tuttavia decidete di farlo, come abbiamo fatto noi prima di scrivere questo articolo e riuscite a tenere separato il comportamento in corsa da parte di Groenewegen dalle conseguenze catastrofiche della caduta, è difficile vedere delle irregolarità. Ammesso che ce ne siano, a noi non sembra di rilevare niente di peggio di quanto abbiamo visto in molte altre occasioni, perfino in questa stagione, per le quali il rigore adottato da parte dai commissari è stato ben diverso.

A 150 metri dal traguardo Groenewegen è in testa e tira la volata, con Jakobsen alla sua ruota. Alla linea dei 50 metri Jakobsen esce al vento sulla destra per aggirare il suo connazionale, è quel punto che Groenewegen inizia a deviare nella stessa direzione, chiudendo il corridore della Deceuninck Quick-Step contro le barriere. Questo spostamento graduale e inarrestabile verso destra va avanti fino a quando Jakobsen, a una velocità altissima, impatta contro le barriere e lì, quel punto, si scatena l'inferno.

Perlomeno questa è la dinamica che ricostruiamo noi, dopo averci ragionato e studiato attentamente. Un testimone dei fatti con un’opinione certamente più rilevante della nostra è Edu Prades della Movistar, uno dei tanti corridori in corsa coinvolto quel giorno nella caduta. Lo spagnolo si è a sua volta infortunato ed ha perso due mesi di gare per via dell’incidente, ma per lui la responsabilità ultima non è di Groenewegen:

"Io non credo che @GroenewegenD dovrebbe essere punito” - ha twittato. “E quelli che hanno permesso all’organizzazione di allestire un arrivo dl genere, allora? Con quelle transenne? E a quelli come me che a causa della caduta perderanno parte di una stagione già corta di suo, cosa vogliamo dire?"

Altri corridori si sono esposti e hanno detto la loro sulla vicenda, come Simon Geschke, che ha descritto l'arrivo della tappa come uno "sprint in discesa pericoloso e stupido"; e Cesare Benedetti di Bora-Hansgrohe, che è stato particolarmente critico nei confronti delle dichiarazioni dell'UCI in seguito all’incidente:

"Non voglio commentare il comportamento dei corridori ma trovo estremamente deludente che non sia stata detta nemmeno una parola sul problema delle transenne al traguardo. Le conseguenze dell'incidente non sarebbero state così gravi, con delle barriere e una disposizione di tipo diverso".

Un altro parere di cui varrebbe la pena tenere conto è quello dell'ex-professionista del WorldTour e quattro volte campione nazionale irlandese, Matt Brammeier. Brammeier, forse ricorderete, ha subito una caduta di proporzioni diverse ma ugualmente gravi al Tour of Utah sel 2015. Qualcosa da dire sul tema della sicurezza dei corridori, ce l’ha:

"Se mai ci fosse un occasione adatta per uno sciopero e una dimostrazione di compattezza da parte dei corridori sul tema della sicurezza in corsa, quel momento è adesso!"

Ed è qui che entra in gioco la CPA, la associazione dei Ciclisti Professionisti Associati. O perlomeno dovrebbe. Il sindacato dei corridori, l’unico riconosciuto ufficialmente dall’UCI, ha impiegato quattro giorni dopo l'incidente per comunicare qualcosa pubblicamente e quando lo ha fatto, è stato attraverso un tweet pieno zeppo di hashtag in cui si affermava che l'associazione aveva chiesto all'organo direttivo dell’UCI di "aprire una #indagine per mancato rispetto delle misure di #prevenzione e #sicurezza".

Da allora, il silenzio.

L’account di Twitter della CPA da qual giorno ha ricominciato essenzialmente ad occuparsi di risultati di gara che - con rispetto parlando - possono essere reperiti agevolmente e più autorevolmente sui siti degli organizzatori.

La CPA ha senz’altro molto da fare oltre che gestire il proprio account Twitter, ma ci sono senz’altro dei momenti nei quali i suoi associati, cioè i corridori professionisti, vorrebbero vedere delle prese di posizione ferme o almeno, leggere un tweet sui temi caldi legati al ciclismo professionistico. Come la sicurezza dei corridori, ad esempio. La data della comunicazione della squalifica di Groenewegen era senz’altro uno di quei giorni in cui in molti si aspettavano un comunicato o almeno un tweet, che non c’è stato. Così com'è andata tutta la faccenda, almeno per chi segue la vicenda dall’esterno, sembra che il sindacato abbia deciso di smettere di svolgere il proprio ruolo di tutela dei corridori.

Con il recente annuncio della creazione di un sindacato di ciclisti professionisti alternativo alla CPA - se ci permettete un po' di malignità - potrebbe sembrare che la CPA stessa, insieme all’UCI, si stia preparando per affrontare un’ imminente lotta tra le entità politiche che governano lo sport del ciclismo. Qualcuno dovrà pure rappresentare gli interessi dei corridori e – sempre a guardare dall’esterno - sembra che né il sindacato dei lavoratori ufficialmente riconosciuto, né l'organo di governo che lo riconosce, siano particolarmente preoccupati di farlo.

Per questo incidente, alla Liegi-Bastogne-Liegi, Julian Alaphilippe è stato semplicemente retrocesso in classifica. Avrebbe dovuto ricevere a sua volta una lunga squalifica? Vale la pena notare che nella sua ricostruzione più recente dell’incidente, anche l'UCI si limita a dire che Groenewegen "ha deviato dalla sua linea e ha commesso una violazione del regolamento UCI".

Alcuni potrebbero sostenere che la descrizione della irregolarità commessa da Groenewegen è corretta, ma quanti altri sprint abbiamo visto, incluso quello di Alaphilippe, con la stessa dinamica e che si adattano perfettamente a quella stessa descrizione? Quanti di questi atleti sono stati penalizzati con una squalifica di nove mesi, invece che con una retrocessione in classifica?

L'UCI d’ora in avanti intende applicare lo stesso tipo di sanzione assegnata a Groenewegen a tutti gli atleti che infrangeranno questa regola di deviare dalla propria traiettoria nello sprint finale? L’UCI stessa, se rimanesse fedele alle proprie affermazioni, nelle quali dichiara "l'importanza di agire ... in modo equo e coerente" si ritroverebbe ad avere, a partire dalle prossime gare, degli sprint corsi al rallentatore e certamente poco combattuti.

Se l'UCI continuerà a dare l’impressione di applicare il regolamento prendendo decisioni arbitrarie, metterà sempre più a rischio la sua credibilità e autorevolezza.

Al momento Dylan Groenewegen e il suo team Jumbo Visma sembrano aver accettato di buon grado la sentenza, ma quello di cui parliamo sembra essere qualcosa di più delicato e serio di quanto i team e i corridori siano disposti a far vedere. È comprensibile che tutte le parti in causa vogliano mettere la parola fine a questa triste vicenda, ma se l'UCI continuerà a fare dei corridori il capro espiatorio di ogni problema o incidente legato alla sicurezza in corsa, gli organizzatori delle gare continueranno a sentirsi protetti e molto probabilmente non si arriverà mai alla svolta necessaria per proteggerli mentre gareggiano.

Corridori, squadre e tifosi – tutti, insomma - meritano qualcosa di meglio che decisioni come queste.

Shop now