testo di Andrew Curry
fotografie di Derek Yarra
Sono a casa di Tom Ritchey. Abbiamo chiacchierato per l’intervista per qualche ora nell'officina del garage di casa sua, oppure seduti intorno al tavolo della cucina. Tom è scomparso al piano di sopra per andare a cambiarsi e torna con dei pantaloncini da bici e una vecchia maglia di lana. Non so bene cosa aspettarmi per una sessione fotografica, chissà quale bici utilizzerà? Forse una bici prototipo con l'ultima combinazione di manubrio e attacco manubrio in carbonio Ritchey e ruote in carbonio? Oppure una delle nuove gravel bike in acciaio prodotte dall'azienda? Quando usciamo di casa per andare finalmente a pedalare però, Tom Ritchey preleva dal portico una bici con telaio in acciaio verde polvere e nastro coprimanubrio iper-consumato; cambio bar-end, freni Shimano 105 e nessun logo, tranne una piccola scritta "Ritchey" in bianco sul tubo obliquo. È... beh, è una bici stranamente senza tempo, all'inizio penso che sia uno dei suoi primi progetti, una bici d'epoca dei suoi primi giorni di costruzione di telai negli anni '70, tirata fuori e preparata appositamente per un servizio fotografico.
Invece, no: è una bici che Ritchey ha costruito tre anni fa nel suo garage per partecipare ad una gran fondo retrò. L'uomo che ha costruito la prima mountain bike di serie, non ha nulla contro i copertoni slick e le ruote sottili. "Mi piace ancora molto pedalare su una normale bici da strada", dice sollevando le spalle, strizzando gli occhi per difendersi dal sole della California. "Con una bici da strada in acciaio costruita bene, puoi andare quasi ovunque".
I suoi caratteristici baffi a manubrio, leggermente ingrigiti, ricordano il Marlboro Man della pubblicità, unica differenza al posto del cappello da cowboy, un berretto da ciclista in cotone logoro. Mentre m’impegno per tenere il suo passo, penso che l'uomo che sto inseguendo è nel mondo della bici da 50 anni e probabilmente pedala su questi sentieri da ancora più anni. Ho l'impressione che in sella a quelle ruote tassellate sottili che monta sarebbe a suo agio su un qualsiasi sentiero del mondo. La bicicletta semplicemente, sembra un’estensione del suo corpo.
Ritchey ha costruito il suo primo telaio nel 1972, all'età di 15 anni. Da allora, in mezzo secolo, ha trascorso la maggior parte del tempo a mettere in discussione l'ortodossia dell'industria ciclistica, guadagnandosi l'ingresso nella Mountain Bike Hall of Fame e nella United States Bicycle Hall of Fame. Ritchey sarebbe probabilmente arrivato ad essere Ritchey ovunque, ma attribuisce gran parte del successo e della direzione della sua vita al periodo e al luogo in cui è cresciuto: l'area della baia di San Francisco e nello specifico la Silicon Valley, negli anni’70. Un tempo la Silicon Valley era davvero un luogo di fermento creativo, dove ingegneri e smanettoni in cerca di lavoro in settori di cui la maggior parte delle persone non aveva mai sentito parlare – quello dei microchip - si trovavano circondati da una spettacolare bellezza naturale e da un clima quasi perfetto.
Negli anni '70, prima dei blocchi di allenamento mirati e dei cardiofrequenzimetri o dei misuratori di potenza che abbiamo oggi, essere in forma per una gara significava semplicemente fare molti chilometri. Per i tipi con un approccio ingegneristico, che erano la maggior parte dei ciclisti della zona, le corse erano una sorta di laboratorio scientifico del movimento. "La quantità di pedalate necessarie per essere in forma per le gare si traduceva in molte distruzioni dei prodotti", ricorda Ritchey. In altre parole, Ritchey e i suoi amici rompevano un sacco di costosi prodotti italiani. Uno dei mentori di Ritchey, un irascibile ingegnere meccanico e corridore dilettante di nome Jobst Brandt, conservava una collezione di pedivelle, assi dei pedali e movimenti centrali Campagnolo che lui e i suoi amici rompevano durante le loro uscite fuoristrada. "C'era molto da imparare in termini di design dei componenti e di metallurgia", dice Ritchey, diplomaticamente. A partire dal 1980, Ritchey si tuffò a capofitto nella costruzione di telai e componenti per il mondo della mountain bike, in quel momento in rapida evoluzione. Come sempre nel ciclismo, l'innovazione fu accolta con scetticismo. “Quando realizzai le prime mountain bike, i miei amici corridori mi dissero: ‘Cosa perdi tempo con quella roba stupida? Fai delle bici bellissime, perché perdi tempo con le mountain bike?’", ricorda. “Invece la natura aperta di uno sport nuovo di zecca era assolutamente eccitante”. La metà degli anni ‘80 portò Ritchey a un altro bivio. La vittoria del Tour de France di Greg LeMond, nel 1986, trasformò gli Stati Uniti da avamposto marginale del mondo del ciclismo, a punto di riferimento assoluto. Ritchey e una schiera di locali guidarono l’evoluzione. "Il modo in cui il ciclismo statunitense è cresciuto dopo LeMond è stato esponenziale, grazie soprattutto al consenso ricevuto dal mercato europeo". Ritchey si tuffò a capofitto nella costruzione di telai e componenti per il mondo della mountain bike, in quel momento in rapida evoluzione. Come sempre nel ciclismo, l'innovazione fu accolta con scetticismo. “Quando realizzai le prime mountain bike, i miei amici corridori mi dissero: ‘Cosa perdi tempo con quella roba stupida? Fai delle bici bellissime, perché perdi tempo con le mountain bike?’", ricorda. “Invece la natura aperta di uno sport nuovo di zecca era assolutamente eccitante”. La metà degli anni ‘80 portò Ritchey a un altro bivio. La vittoria del Tour de France di Greg LeMond, nel 1986, trasformò gli Stati Uniti da avamposto marginale del mondo del ciclismo, a punto di riferimento assoluto. Ritchey e una schiera di locali guidarono l’evoluzione. "Il modo in cui il ciclismo statunitense è cresciuto dopo LeMond è stato esponenziale, grazie soprattutto al consenso ricevuto dal mercato europeo". Nel 1985 però, decise di abbandonare l'idea di sfidare grandi marchi come Trek. Invece di lottare contro i giganti del settore, avrebbe prodotto componenti per loro. "Decisi che potevo unirmi a tutti gli altri e costruire un marchio di biciclette, uno dei tanti, oppure produrre i componenti che tutti avrebbero voluto comprare", spiega oggi.
Quasi su qualsiasi bici, per decenni, ho sempre visto il nome Ritchey da qualche parte: sui miei pneumatici da ciclocross, sui reggisella e sugli attacchi manubrio, sulle pedivelle, sui manubri e sui pedali. Se è strano per me incontrare l'uomo che corrisponde a quel nome, Ritchey dice che è altrettanto strano trovarsi dall'altra parte: s’imbarazza quando la gente gli chiede un selfie con lui, o lo riconosce per strada. Mezzo secolo di lavoro nel mondo della bici si tira dietro anche un grande senso di responsabilità. "Sono praticamente rimasto l'unico nel settore il cui nome corrisponde al prodotto", spiega Ritchey. "In un modo che è diventato molto impersonale, questo ti spinge a continuare a fare le cose bene, per principio".
Il futuro di Tom Ritchey è ancora tutto un programma. Si è sposato per una seconda volta nel 2009 e ora divide il suo tempo tra la sede centrale di San Carlos, a pochi passi da casa sua, e Santa Barbara. Il mercato delle biciclette è cambiato: sempre più marchi progettano telai integrati all-in-one, incompatibili con i componenti after-market. Questo toglie senso all’esistenza di un'azienda come Ritchey. "È stata un'azienda importante, il marchio è forte ma la necessità di esistere, la sua funzione nel mondo del ciclismo, sembra finita", dice Frischknecht. "Oggi ogni grande marchio di biciclette ha il proprio marchio di componenti, che si adattano solo alle proprie biciclette".
Se c'è qualcuno che ha la creatività per reinventare ancora una volta l'azienda, quello è Ritchey. Lui è dell’idea che esiste ancora spazio per i componenti after-market, in particolare per chi conosce le virtù dei telai in acciaio artigianali e costruiti su misura. Nel gravel secondo Ritchey ci sono interessanti opportunità, le biciclette robuste, capaci di affrontare terreni e avventure epiche di ogni tipo, sono grandemente apprezzate da un certo tipo di ciclisti. "Durare nel tempo affrontando alti e bassi, è la mia specialità", afferma. "Se penso al futuro tenendo questo in mente, una strada la troveremo senz’altro".