Testo di: Emilio Previtali
Foto: Getty Images
Nemmeno gli appassionati di tennis si preoccupano della superficie su cui si pratica il proprio sport, più degli appassionati di ciclismo.
È il fine settimana della Parigi - Roubaix.
Tutti amiamo questa corsa e le ragione per cui la amiamo sono il pavé, il fango, la polvere, la sofferenza, lo spettacolo, il velodromo, la birra che scorre a fiumi, gli imprevisti, il caos feroce nelle fasi più concitate della gara, l'incertezza del risultato finale fino all'ultimo centimetro.
Amiamo la Roubaix come si amano la Formula1, la MotoGP o la ginnastica artistica alle Olimpiadi, semplicemente guardando le gesta di campioni inavvicinabili e un po' alieni. Per essere un fan della Parigi - Roubaix non serve essere ciclisti, è sufficiente guardare la gara in TV stando comodamente seduti su divano.
La gara dei professionisti in fin dei conti serve a una cosa soltanto: a farci godere. Dello spettacolo e della certezza che noi che il ciclismo lo pratichiamo soltanto nel tempo libero, per essere definiti a nostra volta ciclisti non siamo tenuti a pedalare nemmeno un metro su quelle benedette - o maledettissime - pietre.
Nella foto Eddy Merckx nella foresta di Arenberg, 1971