Silk Road Mountain Race: un'odissea su due ruote

Con i suoi 1,865 km di lunghezza e 30,500 metri di dislivello positivo, la SRMR in Kirghizistan è l'ultra cycling più dura al mondo

In prossimità del secondo check point di Kel Suu, a 3,400 metri di quota, David Gambuli ha dovuto stringere i denti e lottare. Dopo sei giorni in sella, in lande desolate e sterrati spaccaossa, la fortuna ha iniziato a voltargli le spalle.

“È stata una giornata lunghissima,” racconta Gambuli. “La metà del tempo è stato controvento, e nel controvento ho anche beccato grandine. E la grandine controvento fa male, anche se piccola e anche se indossi la giacca.”

Il 35enne originario di Modena stava attraversando una zona caratterizzata da washboards — quelle ondulazioni dello sterrato che sui muscoli e sulle ossa ricordano un po’ il pavé del nord.

Gambuli in discesa dal Passo Mels Ashuu verso Baetov. Foto: Radu Diaconescu.

“In auto lo neutralizzi intorno ai 60 km/h. In bici invece te lo sogni,” continua Gambuli. “Ho preso talmente tante botte e vibrazioni che alla fine, dopo un po’, mi sono accorto che mi avevano abbassato il sellino di almeno tre dita.”

Ma in una gara come la Silk Road Mountain Race (1,865 km e 30,500 metri di dislivello positivo sugli sterrati del Kirghizistan), le crisi e i momenti difficili sono una costante ineliminabile. E sempre dietro l’angolo.

Accettare il fastidio

Gambuli in discesa verso il caravanserraglio di Tash Rabat. Foto: Arno Crous.

Jenny Tough, quest’anno unica donna a completare la prova individuale femminile, aveva già portato a termine la SRMR in due occasioni. Quindi conosceva bene l’Arabel Plateau, un altipiano a 4,000 metri di quota. Tuttavia, quest’anno l’ha scoperto in veste nuova, quando ci è arrivata al calar della notte.

“Faceva ovviamente molto freddo e c’erano anche molti fiumi da attraversare,” racconta la 32enne di origine canadese e scozzese. “Quindi ero pronta a prendere freddo, ma con l’altitudine come altro fattore — passarci la notte è stato anche pericoloso.”

Jenny Tough ha passato diverse notti al freddo e in alta quota sull'Arabel Plateau. Foto: Jenny Tough.

Tough ha comunque deciso di fermarsi per la notte sull’Arabel, soprattutto per evitare le altre insidie dell’altopiano, come il guado dei fiumi in condizioni di luce non ottimali. Ma dopo appena tre ore di sonno, si è svegliata ricoperta di neve e ghiaccio. Anche la borraccia d’acqua che aveva tenuto nel sacco a pelo era completamente congelata, così come la bicicletta e le scarpe.

“Sapevo che ce l’avrei fatta,” aggiunge. “Era solo una questione di discomfort.”

Sali e scendi, caldo e freddo

Gambuli verso Tash Rabat. Foto: Radu Diaconescu.

Tough ha poi deciso di riprendere la sua marcia solitaria, di notte, a 4,000 metri. Dopo l’esperienza all’agghiaccio, l’aspettava qualcosa di molto diverso: la lunga discesa dal Tosor Pass — la più lunga dell’intera gara — e temperature a fondovalle prossime ai 30°C.

Dopo appena un’ora, la strada ha ripreso a salire, e di nuovo verso il passo dal quale stava arrivando. All'imbrunire, e -7°C, una delle tacchette delle scarpe si è incastrata nel pedale, e la scarpa su cui era attaccata si è separata dalla tacchetta.

Giusto un po' di fango sui pedali. Foto: Jenny Tough.

“Faceva freddo, ero a 4,000 metri, stanca morta, e mi ritrovo a dover togliere la tacchetta dal pedale e poi cercare di ri-agganciarla usando una delle viti del portaborracce,” ricorda.

E in gare come la SRMR, quando qualcosa inizia ad andare storto, le problematiche si susseguono a catena: una volta sistemata la tacchetta, è stata la manovella del cambio a darle rogne. Poi due forature e qualcosa ha iniziato a sferragliare senza sosta all’interno del telaio. E poi le è venuto il ciclo.

Sii forte, Jenny

Foto: Danil Usmanov / Silk Road Mountain Race.

“Ero molto emotiva in quel momento,” racconta. “So come riparare una foratura, ma in quel momento proprio non riuscivo in nessun modo. Così ho iniziato a piangere e ho dovuto cercare di calmarmi accarezzando un cane e ripetendomi che era tutto ok. Dovevo essere stoica e andare avanti.”

Tough ha raggiunto l’apice di sfortuna verso metà gara, quando era già stanca mentalmente e fisicamente — la bici ha iniziato a cadere a pezzi — e c’era ancora tanta strada di fronte a lei. È una parte di gara dove fa spesso fatica, perché ha già percorso abbastanza strada per essere stanca fisicamente, ma ne rimane ancora tanta da percorrere che l’impresa sembra insostenibile. Tuttavia, è superando questi momenti che in gare come la SRMR si fa la differenza e si arriva al traguardo.

Condizioni estreme alla SRMR 2021. Neve e pietraie. Foto: Jenny Tough.

“Gare di questo tipo spesso diventano una risoluzione di problemi,” racconta Tough. “Chiunque può andare in bicicletta. Quella parte è la parte facile e divertente. La cosa difficile e che fa la differenza è affrontare una serie di sfide inaspettate tutto il giorno e tutta la notte.”

Nel caso di Tough, il mantra che l’ha aiutata ad andare oltre è stato “sii coraggiosa, sii forte.”

Ying e Yang

Foto: Danil Usmanov / Silk Road Mountain Race.

Ma dopo il brutto tempo, può arrivare il sole. E dopo la sfortuna, le cose possono riprendere ad andare per il verso giusto. Gambuli racconta di un’esperienza e di una lotta individuale molto simile a quella di Tough. Ricorda anche stati emotivi fluttuanti, che cambiavano e si alternavano di continuo.

“Dopo quel momento con la grandine è uscito il sole,” racconta Gambuli. “In queste gare è  importante sapersi gestire.”

Nell’ultima giornata di gara, infatti, ha deciso di non dormire e fare una tirata unica verso il traguardo di Balykchky nel nordest. Anche perché anche lui, in quel momento, non vedeva l’ora di arrivare al traguardo.

Il secondo giorno di gara, prima del primo checkpoint, a 3500 metri di quota. Foto: David Gambuli.

“Ho passato 45 minuti a cambiare una gomma, perché non riuscivo né a farla venire su, né a farla spallare dopo,” racconta. “Così dopo aver perso quasi un’ora per questa cosa, mi sono rimesso in sella e mi è venuto via il pedale.”

Con 160 chilometri all’arrivo, e nessun meccanico nei paraggi, Gambuli ha fatto l’ultimo tratto con il pedale rotto e a ogni salita scendeva di sella e spingeva la bici.

Ma le esperienze negative sono anche accompagnate da momenti positivi — come quando è stato sfidato da un ragazzino in sella a un ciuchino. “Cose così poi ti lasciano il sorriso per due ore.”

La gara

Toms Alsbergs e Janis Viskers in versione crono a squadre. Foto: Danil Usmanov / Silk Road Mountain Race.

La SRMR, tecnicamente, è una gara a tutti gli effetti e le regole che si applicano a eventi di questo tipo — anche quando organizzati in stati esteri — sono quelli in vigore nel paese di origine dell’organizzatore, in questo caso il Regno Unito. In Italia, invece, non si possono chiamare gare, ma eventi. 

Il Grand Départ della SRMR è avvenuto a Talas, nel nordovest del paese alla quattro del mattino (per via di vari ritardi). I partecipanti hanno seguito un percorso fisso che li ha portati sul traguardo di Balykchky (sul lago Issy Kul) a quasi 2,000 chilometri di distanza. Tra partenza e arrivo sono poi stati posizionati tre check point obbligatori, nei quali i partecipanti hanno dovuto timbrare un libretto di viaggio per provare il loro passaggio.

Il primo giorno. La quiete prima della tempesta ... Foto: David Gambuli.

E se la partenza è avvenuta a quota 1,200 metri — e 41°C — la maggior parte del percorso è poi stato a quote decisamente più elevate (media attorno ai 2,500 metri di quota e passi tra i 3,200 e 4,000 metri) e temperature spesso sottozero. 

“Di asfalto ci sono stati penso tre o quattro tratti. Così pochi che te li ricordi. Non c’è mai un tratto facile, non un giorno in cui non fatichi. “È massacrante, la meteo è inclemente e gira velocemente ed è davvero un evento in cui non hai supporto esterno. Se hai rogne devi saperle sistemare da solo.”

La bici 

David Gambuli all'arrivo. Peccato la piscina fosse vuota.

Per la sua SRMR Gambuli ha usato una bici rigida in acciaio e forcella in carbonio, fatta su misura da un amico (Erman Bike). “Sono stato contento del mio set-up. Anche se in alcuni frangenti una bici ammortizzata avrebbe fatto comodo,” racconta.

Gambuli ha poi optato per un 2 x “old school” . Ed escluso lo zainetto dove aveva la camelback con due litri d’acqua, qualche snack e cambi leggeri, ha optato poi per una sacca full-frame (dove aveva salsicce secche, barrette, copripantaloni e altro abbigliamento), una borsa posteriore con il kit notte, la giacca da pioggia e piumino; e piccola borsetta frontale con altri snack — per un totale di 20 kg di peso complessivi.

 Un altro uso del tubo orizzontale. Foto: David Gambuli.

“Alla fine la roba che ti porti dietro per tre giorni è la stessa che ti porti per dieci,” racconta Gambuli. “Poi dai per scontato che non ti lavi. Ed è la stessa ottica della montagna, per cui ti vesti a strati. Io avevo completo leggero estivo, un intimo pesante e il piumino, oltreché la giacca. Per cui di notte, quando faceva freddo, non facevo altro che mettere l’intimo a manica lunga sopra a quello estivo, che non stavo neanche a toglierlo.”

Ma, come aggiunge anche Tough, “non c’è una vera bici giusta per la Silk Road. La prima volta l’ho fatta con una gravel, quesa volta con una 29 hardtail. E sono convinta che la Silk Road si possa fare fare con la bici con cui ti senti più a tuo agio. Entrambe le opzioni si riveleranno sbagliate a qualche punto, e qualsiasi bici inizierà a perdere pezzi dopo tanta strada. La Silk Road distrugge le bici — quindi il giusto è farla con la bici che ami di più.”

Nutrizione sportiva?

Pausa ghiacciolo poco prima dell'arrivo. Foto: David Gambuli.

Oltre a quello che aveva comparato per la grande partenza, Gambuli non ha poi trovato molto lungo la strada.  

“C’erano dei paesini di quattro case dove magari c’era un minimarket, che in sostanza era il retro della casa di una signora, che ti apriva la sua cantina e ti vendeva la sua roba,” racconta. “E quando andava bene c’era pane, snickers, würstel, dolci vari, e un po’ di frutta. Altrimenti scatolette di aringhe e una al pomodoro mi è rimasta sullo stomaco per almeno un’oretta.”

Il VIAGGIO

Il tratto ancora pedalabile del Kegeti Pass. Foto: David Gambuli.

Il viaggio Bologna-Istanbul-Bishkek ai tempi di Covid è stato un piccolo evento endurance a sé stante (con test prima della partenza dall’Italia, e poi uno prima della partenza dalla gara).

L'accampamento

Il risveglio dopo la seconda notte al freddo. Foto: David Gambuli.

Soltanto per due notti Gambuli è riuscito a dormire in una piccola guesthouse: al quarto giorno, sul Lago Issyk-Kul (il secondo più grande lago di montagna al mondo dopo il Titicaca in Sudamerica), e poi al checkpoint due, dopo la giornata drammatica che lo aveva messo alla corde, quando ha dormito in una yurta. Per il resto, sacco a pelo impermeabile e copri sacco.

La preparazione

Inizio della prima vera salita (Tepek), dopo un lungo pianone iniziale. Foto: David Gambuli.

Per prepararsi alla SRMR Gambuli ha spesso fatto grandi uscite da 200-300 chilometri, a volte una di fila all’altra nei fine settimane. “Diciamo che la mia preparazione avrebbe potuto essere migliore, perché non ho mai fatto preparazioni atletiche in nessuno sport. Devi arrivarci sì preparato fisicamente, ma anche carico per andare in bici. L’ho quindi presa come una cicloturismo estremo. Così me la godevo e non mi pesava allenarmi.”

Al traguardo ...

Ultima salita e inizio dell'ultima discesa (oltre i 3,000 metri). Foto: David Gambuli.

Gambuli ha finito la SRMR  in nove giorni e 13 ore — un risultato che gli è valso la quinta posizione a una media dei 14 km/h (al traguardo sono arrivati 50 su un totale di 100 partenti). “Se avessi recuperato meglio da Italy Divide avrei potuto andare a podio, ma va bene così. Gli ultimi 160 chilometri li ho fatti col pedale rotto, e non appena c’era salita dovevo scendere e spingere.”

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