Tour de France 2023 | LA NOVITÁ, É LA GIOIA

Tour de France 2023 | LA NOVITÁ, É LA GIOIA

Autore: Emilio Previtali

Di quello che è successo nella tappa di ieri, la Tarbes > Cauteret-Cambasque di 144 chilometri nel cuore dei Pirenei, a questo punto è inutile parlare: Tadej Pogačar ha attaccato e lasciato indietro Jonas Vingegaard, spannometricamente dimezzando lo svantaggio accumulato il giorno precedente. Ad alcuni sembrava già di essere nella terza settimana di corsa e che il Tour de France fosse quasi finito. In molti a pazientare e a godersi lo spettacolo giorno per giorno così come viene, senza dare niente per scontato o definitivo, non hanno ancora imparato. 

A questo punto, della tappa di ieri e della classifica generale saprete tutto quello che c’è da sapere e anche se siete tra quelli che nel pomeriggio lavorano e Il Tour de France non la possono vedere in diretta in TV, senz’altro avrete trovato tempo ieri sera o questa mattina per andarvi a riguardare gli highlights. Se non lo avete fatto e la corsa non l’avete vista, se della tappa di ieri non sapete proprio niente di niente - mi chiedo dove vivete, su Marte? - beh, peggio per voi. Che razza di tifosi di ciclismo siete? Per accontentarsi del risultato e delle classifiche, c’è eventualmente il calcio o la Formula1.

Foto: Zac Williams/SWpix

La tappa di ieri al Tour de France, con Col d’Aspin, Tourmalet e arrivo in salita, era una di quelle da non perdere. Non si tratta di informarsi e di sapere l’andamento della classifica generale. Si tratta di celebrare una liturgia. Sono le tappe come quella di ieri che danno senso al nostro essere tifosi. Il tappone di montagna della prima settimana di un grande giro è un po’ come la messa di Pasqua: se uno non ci va per un genitore o una nonna, per il prete e per la signora del catechismo, è meno grave che mancare alla messa di Natale. Ma non andarci del tutto, non essere presente, non essere dove bisognerebbe essere, fa perdere il senso dell’insieme. 

È difficile sentirsi e parte di una comunità, di un qualcosa, perdendosi certi momenti chiave. Si può essere un fedele non praticante ma ci sono appuntamenti in cui, nel rito e nella celebrazione, serve una cosa soltanto: esserci. Ieri era uno di quei giorni. Ieri era il giorno in cui, come succede ogni pomeriggio nel mese di maggio e luglio, al Giro d’Italia o al Tour de France, a orari fissi, milioni di individui in tutto il mondo si sistemano davanti al loro televisore per partecipare a un rito collettivo. Essere tifosi di ciclismo, è questo.

 

Foto: Zac Williams/SWpix

Ieri dovevate guardare la tappa con i vostri occhi perché oggi qualcuno proverà a raccontarvi che quello a cui stiamo assistendo è un ciclismo che piace e entusiasma perché ricorda quello d’altri tempi, quello dei pionieri dove c’erano attacchi tutti i giorni con imprese epiche, dualismi e rivalità, corridori con il tubolare attorcigliato intorno alle spalle e una banana infilata nella tasca posteriore della maglia. Beh, non è questo il motivo per cui il ciclismo contemporaneo è straordinario e entusiasmante.

Quello a cui stiamo assistendo è semplicemente il ciclismo del futuro, qualcosa che non si era ancora mai visto. Abbiamo corridori preparati, disincantati, che corrono come se non ci fosse un domani e non lo fanno per incoscienza, perché azzardano o perché buttano il cuore oltre l’ostacolo. Lo fanno perché conoscono alla perfezione se stessi e i propri limiti, e perché sono sereni, allegri, più distaccati dall’ossessione per la vittoria rispetto ai corridori del passato, quelli che inspiegabilmente continuiamo a osannare e tenere a mente come le icone di questo sport. E che dovremmo riuscire a mettere definitivamente da parte, non perché non gli vogliamo più bene o li vogliamo dimenticare, ma semplicemente perché il tempo passa e il mondo va avanti.

I conforti con Coppi, Bartali, Merckx, Gimondi, Anquetil, Armstrong, Pantani e tutti gli altri del passato, basta. Non se ne può più. Rassegnatevi. I campionissimi e i confronti con il passato mettiamoli via una volta per tutte. E mettiamo da parte l’idea che liturgia del ciclismo e tradizione debbano essere necessariamente legati tra loro. 

Foto: James Startt

Lo spettacolo del ciclismo che questi giovani corridori ci stanno regalando è una cosa pazzesca e impensabile fino a qualche anno fa e ce l’abbiamo grazie ai powermeter, ai marginal gains, alle radioline, ai controlli più severi sulla loro salute e soprattutto grazie all’idea che fare il ciclista professionista è una cosa seria ma è anche gioia e divertimento. Il ciclismo rende felici e non è soltanto sacrificio, fatica, sudore, sangue e lacrime.

Ma la vedete la faccia di Pogačar dopo l’arrivo? È un ragazzo di 24 anni che si diverte, ride e scherza e spruzza l’acqua in testa ai suoi compagni. È leggero e consapevole. È questa la vera novità straordinaria del ciclismo moderno: la gioia ogni giorno, che si vinca una corsa oppure che la si perda.

 

Autore: Emilio Previtali


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