Jann Ulrich, sulla strada della redenzione

Laura Meseguer analizza il carattere complesso dell'ex ciclista tedesco Jan Ullrich, il cui passato è macchiato da una serie di scandali e una condanna per doping. Riuscirà Ullrich a ritrovare il suo posto nel mondo del ciclismo?

Il poeta uruguaiano Mario Benedetti scrisse: "Non salvarti, non riempirti di calma, non allontanarti dal mondo, trova solo un angolo tranquillo".
 
L'ex ciclista tedesco Jan Ullrich è riapparso per la prima volta in pubblico in occasione della Mallorca 312 Gran Fondo. Dopo la squalifica a seguito delll'Operazione Puerto — e aver confessato di aver fatto uso di doping durante la sua carriera — l’ex vincitore del Tour de France 1997 si era rifugiato nell'alcol e nella droga — oltre ad essere  stato protagonista di numerosi scandali.
 
A Maiorca ho avuto l'opportunità di intervistarlo. Dal momento che non ho vissuto i suoi anni gloriosi o il suo declino, è stato il recente passato che ha plasmato la mia opinione su di lui. Per evitare di andare al colloquio carica di pregiudizi, ho parlato prima con le persone che hanno vissuto i suoi giorni gloriosi (da vicino o da lontano). Volevo infatti avere una visione più equilibrata e completa del suo carattere prima del nostro incontro.
Ho incontrato un Ullrich modesto, ma felice. È arrivato al nostro appuntamento accompagnato dalla fidanzata e un paio di amici, uno dei quali avrebbe percorso i 312 chilometri della granfondo assieme a lui. Anche se avrei sperato di chiedergli di più, l'intervista doveva essere mantenuta leggera e disinvolta — e questa è stata una sua richiesta.
 
"Questo è ciò di cui ho bisogno nella mia vita", ha detto parlando dell'evento. "Sono in buona forma, amo il ciclismo e tutto questo penso che renda la mia vita più interessante". È il suo angolo tranquillo.
 
Una volta terminata l'intervista, la reazione del pubblico a Ullrich è stata una delle risposte che cercavo in questo viaggio. A grande sorpresa, i partecipanti alla granfondo lo hanno accolto con fervore e ammirazione. E la reazione del pubblico ha scioccato forse ancora di più lo stesso Ullrich, il quale, non avendo più bisogno di camminare a testa bassa per l'imbarazzo, iniziò a sorridere senza paura. Verrebbe da dire che queste persone non abbiamo memoria storica.
 
A Maiorca mi sono resa conto che il pubblico lo aveva perdonato e ha mostrato la sua ammirazione senza rimproveri. Sembrava che nessuno volesse che si ripetesse la storia di Jose María Jiménez “Chava” o di Pantani. Con gli applausi non hanno cancellato il suo passato, per il quale ha Ullrich ha già pagato il prezzo più alto: la condanna da parte della Corte Arbitrale dello Sport. Le persone che lo hanno accolto a braccia aperte accoglievano una persona che sta cercando un riscatto per gli errori del passato. E una persona che ci sta cercando di sopravvivere usando un mezzo che usiamo tutti: la bicicletta.

Abbiamo chiacchierato del presente ma con inevitabili rimandi al passato. Abbiamo confrontato il suo palmares con quello di Remco Evenepoel, sul quale sta salendo la pressione di un intero Paese (Ullrich vinse il Tour de France a soli 23 anni ed, con la squadra Telekom, è stato artefice del boom del ciclismo in Germania).
 
"Forse ero troppo giovane per gestire quella pressione", riflette. "Nella mia vita ho fatto molti errori e avuto molti alti e bassi. La nostra è stata una generazione segnata dal problema del doping e dell'EPO". Ullrich si riferisce alla generazione attuale come una generazione di "ciclismo pulito e molto bello. Questa generazione è più completa; è un gradino sopra il nostro".
 
"Guardo tutte le gare di ciclismo", mi dice. “I miei corridori preferiti sono Peter Sagan, Alejandro Valverde, Julian Alaphilippe e Tadej Pogačar. Ma sopra tutti c'è Miguel Indurain. È il mio eroe”.
 
Come vede Alejandro Valverde? Ha 41 anni ed è ancora lì, gli chiedo.
 
“Valverde ha corso con me, con me! E sono molto vecchio. Si può dire che ama il ciclismo. Questo è un lavoro molto duro e lui è sempre motivato. Anche se cade alla Vuelta e poi deve essere operato e stare fuori per tre settimane, torna e vince. È speciale e unico in lui. Non ci sono molti campioni come lui", risponde Ulrich.
 
Nonostante gli piaccia parlare di ciclismo, non gli manca nulla della sua carriera professionale. "No, no, niente", dice.
 
Alla presentazione della gran fondo, abbiamo vissuto un'emozionante riunione con Joseba Beloki, che Ulrich non vedeva dal suo incidente al Tour del 2003. Stessa storia con Óscar Freire, Pedro Horrillo e Alberto Contador. E anche in quei momenti di riunione, l'ovazione del pubblico ha sollevato la sua anima. I social network si sono riempiti di messaggi positivi e congratulazioni. Lo chiamano "idolo".
Ullrich è tornato in bici per la prima volta qualche settimana fa, durante un raduno  di allenamento per milionari organizzato da Lance Armstrong, George Hincapie e Johan Bruyneel, sempre a Maiorca. “Mi sono trovato in una situazione come quella di Pantani, quasi morto", ha confessato Ullrich. Da allora, però, il tedesco è dimagrito e sembra in ottima forma. "C'è stato un tempo in cui ho smesso di andare in bicicletta, ma negli ultimi mesi ho ripreso ad allenarmi e mi dà molta energia. Lo sport è la mia droga e amo andare in bicicletta", dice.

Non è facile come giornalista parlare di un personaggio come Ullrich senza rischiare di tessere un apologia del suo passato. Avere compassione di lui non significa espiarlo dei suoi peccati di ciclista. Ma, al contempo, gli si tende una mano perché possa tornare a vivere come persona. È un percorso che ha iniziato a ricostruire con la sua famiglia e che aveva abbandonato da anni. Vuole riprendere con il ciclismo e, da quanto ho capito, avere una migliore opinione pubblica. Ed è proprio a Maiorca che Ullrich ha trovato la redenzione dal suo passato. È dove ha trovato il suo angolo tranquillo.

Non sarà più l'eroe che era una volta quando vinceva e si dopava, ma lasciate che sia almeno un uomo con una vita dignitosa a cui abbiamo tutti il diritto di aspirare. E per citare ancora Benedetti: "No, non soffro di amnesia, ricordo solo le cose belle... Si chiama memoria selettiva ed è molto salutare".

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